Paura e amore sono le due emozioni principali della nostra vita: il resto sono dettagli e sfumature. Paura e amore ci accompagnano, ci guidano, possono essere aiuti e ostacoli.
La paura ha funzioni importanti, serve. Per quanto fastidiosa e antipatica, serve. Se non altro, serve per sperimentare la soddisfazione di non soccombere alla paura.
Io, paziente, ho avuto paura e talvolta ho paura.
La paura serve, e può svolgere una funzione positiva se riusciamo ad identificare di cosa abbiamo paura, altrimenti è solo buio. Quindi, per essere costruttivi, è meglio parlare di paure, al plurale.
Si pensa che la paura principale sia quella della morte, o di morire. Questa è determinata prevalentemente dalla nostra cultura, che ha un pessimo rapporto con la morte. Tuttavia raramente la paura della morte è quella che determina blocchi.
Riconoscere le nostre paure serve per comprendere dove, e come, la paura può creare danni o impedimenti, ed è il primo passo per superarle.
Il primo passo è quello di identificare le paure, e oggi proviamo a dare nome e cognome alla paure più frequenti. Poi, solo, poi, vedremo come affrontarle.
C’è la paura di perdere il controllo, frequente soprattutto prima delle operazioni perché l’anestesia generale è una grande perdita di controllo, ma in questo ambito possiamo annoverare anche la sensazione generale di essere finiti in un tritacarne che molti pazienti provano (io sicuramente sì) in tutta la fase diagnostica, dal primo sospetto alla diagnosi ufficiale. Soprattutto con un sospetto di tumore è tutto un correrre, affannati, da un esame all’altro, da una visita all’altra, in fretta, in fretta.
A me, paziente in corso di accertamenti, il Bianconiglio mi faceva un baffo!
C’è la paura di essere un peso per gli altri, che spesso è anche paura di essere abbandonati dalle persone più vicine perché si è diventati un peso.
C’è la paura del cambiamento. Questa è molto sfaccettata perché va dal comune timore del cambiamento alla grande paura di cambiamenti ben precisi. In questo grande contenitore abitano le paure dei cambiamenti definiti “estetici” ma che in realtà sono lesioni alla propria identità. Capelli, seno, cicatrici post chirurgiche, perdita di elementi biologicamente correlati alla femminilità o alla mascolinità, portano spesso a rielaborare il chi sono, l’identità.
E poi c’è la paura dell’ignoto, di un futuro sconosciuto che, almeno nell’immediato, si presenta terrificante. Ed è in questa generica paura del futuro che si colloca anche il lutto, tutto da elaborare. È un lutto per quel pezzo che ci tolgono chirurgicamente, il lutto per chi eravamo, il lutto per un mondo andato in frantumi.
Per me era predominante la paura di ammettere di aver paura. Io che sono sempre stata il sostegno degli altri ho dovuto riconoscere di aver paura, quello stesso tipo di paura avvolgente e intensa che avevo sperimentato da bambina alla morte di mia madre e che avevo passato la vita a superare. Eccola, ancora lì. Quando ho iniziato ad esaminarla, a darle un nome, ad andarci dentro, ho anche iniziato a superarla.
Tanto per dare una conclusione a questa carrellata, che potrebbe essere molto più lunga, segnalo anche la paura della paura. Questa è la più tosta, o almeno lo è stata per me. Poi ho capito perché, poi ho capito come elaborarla, trasformarla, poi, con pazienza.