Dottore, mi ascolti! Salute, comunicazione e benessere
Home » 4 Passi in galleria » La malattia come esperienza » La malattia e varcare la soglia

La malattia come esperienza

La malattia e varcare la soglia

La malattia e varcare la soglia - Dottore, mi ascolti!

La malattia vista e affrontata con l’aiuto del Viaggio dell’eroe.

La malattia o, meglio, quella diagnosi così severa, antipatica, è un drago, ma è anche una chiamata. Non entro, ora, nel merito di queste affermazioni, mi limito a segnalare che quando si riceve una chiamata si sceglie se accettarla o rifiutarla. Se viene accettata, si incontra un mentore e poi, volendo, si varca la soglia e inizia il viaggio vero e proprio.

Varcare la soglia non significa certo morire, anzi, ma una volta varcata la soglia non si può tornare indietro.

Qual è, quindi, il significato di varcare la soglia in un viaggio dell’eroe legato alla malattia?

Si tratta di partecipare, prendersi cura di sé, diventare parte attiva del processo di cura.

Farlo non è facile come dirlo, o raccontarlo. Io ho raccontato il mio varcare la soglia, e il mio viaggio, in un libro (quattro passi in galleria – quando non vedi la fine del tunnel, arredalo), e lo dico con cognizione: varcare quella soglia non è semplice.

Si viene contrastati dal peso di quella diagnosi, dalla paura, un pizzico di rabbia, la voglia di abbandonarsi, e anche da tanti luoghi comuni, magari detti a fin di bene.

Io ero indubbiamente facilitata dai molti anni dedicati alla crescita personale, ma ho comunque dovuto rivedere un po’ tutto, anche me stessa.

Ho tergiversato per varcare quella soglia, pur conoscendone l’importanza.

Mi sono accorta di aver fatto il passo decisivo quando lo psicologo che mi seguiva, persona meravigliosa, mi ha ripetuto una delle frasi più classiche che si dicono a chi ha un tumore: reagisci, vivi, le persone che ti amano hanno bisogno di te.

L’avete già sentita, vero? Si dice spesso.

Io ho risposto: Non mi interessa. Se io muoio soffriranno per un po’, poi continuano a vivere. Lo so, ho visto morire diverse persone che amo moltissimo. Reagisco perché io ho bisogno di me, non loro. Vivo per me, non per loro. Trovo il coraggio di affrontare tutto quello che devo facendolo per me, non per altri.

È stata la conclusione di un processo, e l’inizio del viaggio vero e proprio. Il premio non è la salute: rimango una paziente oncologica, con controlli semestrali, ma la felicità. Ma questa è un’altra storia.