Nelle mie attività di corsi e percorsi di mentoring e coaching rivolti al paziente (percorsi insieme) è dedicato una ampio spazio alle relazioni che cambiano.
La malattia, infatti, modifica, e talvolta stravolge, le relazioni con i familiari e gli amici, ma anche la relazione con se stessi.
Ci sono le manifestazioni fisiche della malattia, e delle terapie, e spesso diventa difficile guardarsi allo specchio. Ognuno di noi ha un’immagine di sé, e non ci si riconosce più.
Poi ci sono quelle che possiamo definire le modifiche caratteriali: abbiamo reazioni diverse, comportamenti diversi.
Il concetto del non sono più io viene declinato in vari modi, ma alla base c’è un cambiamento indesiderato con cui è difficile confrontarsi.
Diventa fondamentale il dialogo con se stessi.
Uno dei primi passi è riconoscere la malattia senza diventarne schiavi: ho una malattia è un’affermazione di accettazione, sono malato implica un concetto di identità e schiavitù.
Vanno anche accolti, con amore e pazienza, i cambiamenti estetici, sempre affermando la differenza tra ciò che siamo e ciò che vediamo di noi stessi.
Lo strumento principale è il linguaggio, le parole, ed è utilissimo parlare ad alta voce con se stessi o scrivere a se stessi delle lettere.
Ti sembra sciocco?
La realtà è che difficilmente possiamo controllare i pensieri, troppo veloci per essere modulati.
Il nostro linguaggio, le parole che usiamo, il modo in cui costruiamo le frasi, è invece più controllabile e… la parola crea il mondo.
Lavorando su come parliamo a noi stessi, mettendo in pratica, poco a poco impariamo a dirci cose utili, affettuose, costruttive.
Parlare ad alta voce e scrivere è la modalità ottimale.
Poi, è ovvio, abbiamo tecniche anche per dialogare con l’inconscio, scoprire pensieri più reconditi.
Un passo alla volta.
Un passo alla volta possiamo allenarci ad avere una relazione ottimale con noi stessi.