È difficile mantenere la dignità o chiedere rispetto nello stesso momento in cui si è costretti a chiedere la padella. Eppure per molti pazienti è assolutamente fondamentale che la malattia non alteri le loro modalità di relazione col mondo.
Tutti gli operatori sanitari, a partire dal medico, e via via con l’infermiere, il fisioterapista, e chiunque si configuri con chi ha problemi di salute, cercano o dovrebbero cercare la modalità ottimale per interagire, il modo migliore per aiutare.
Dimentichiamo momentaneamente il medico: i fattori che entrano in gioco sono molteplici e le sfumature di una relazione medico – paziente sono estremamente sfaccettate. Dedichiamoci, invece, ad esaminare le modalità di dialogo tra personale paramedico o operatori sanitari e pazienti.
Indubbiamente la maggior parte fa il proprio lavoro con passione e dedizione, e cerca il modo migliore per instaurare un dialogo. Eppure alcuni sembrano totalmente autodidatti o condizionati da modalità di comunicazione vecchie, obsolete e spesso controproducenti.
La compassione è sicuramente uno strumento utile, l’empatia è difficile da gestire per chi vive e lavora a tempo pieno in mezzo alla sofferenza. Eppure la compassione non dovrebbe diventare pietismo. Molti si rivolgono al paziente usando il noi: modalità comunicazionale che intenzionalmente vorrebbe comunicare partecipazione, ma che finisce per diventare, talvolta, ridicola e fastidiosa.
Se il paziente è affetto da demenza senile o da depressione e sbalordimento per la malattia alcuni modi espressivi adeguati al neonato possono forse esser utili, ma certo non per tutti i pazienti.
Nella mia esperienza da paziente oncologico mi sono ritrovata diverse volte ad essere terribilmente irritata da alcune modalità di comunicazione degli operatori sanitari e ho dovuto esercitare un ferreo controllo alla voglia di dichiarare “ho un cancro, ma non per questo sono diventata imbecille”.
“Su, adesso facciamo tutta la pipì” “Forza, Carla, fai un esercizietto” … sono frasi capaci di scatenare in me diverse reazioni, tra cui (per fortuna) il senso del ridicolo, ma sicuramente non mi fanno sentire più protetta e non mi aumentano la compliance.
Le tecniche di comunicazione hanno spiegazioni e indicazioni su come rivolgersi alle diverse tipologie di pazienti: si tratta di studiare gli stili sociali, e di ricordarsi che è sempre il paziente che determina la modalità ottimale di comunicare. È dunque indispensabile comprendere, essere flessibili e modulare la modalità espressiva alla tipologia del paziente per offrire il massimo supporto e ottenere la massima partecipazione.